Questa settimana abbiamo affrontato il tema delle freepress con più protagonisti, coinvolgendo giovani e vecchi editori ma anche influencer, blogger e instagrammers che ci hanno detto la loro e confessato di non essere indifferenti al fascino della carta stampata e che, anzi, spesso l’ambizione è proprio quella di partire dal web e dai social per arrivare agli old media; farsi notare e scrivere per riviste che vanno in edicola o diffuse a distribuzione gratuita e ben radicate sul territorio, come il caso di Italia per Voi di cui abbiamo parlato in un precedente articolo: lo trovate qui www.danielaiavolato.it/imprese-di-carta-io-erika-accetto-la-sfida/

Un ottimo trampolino di lancio, insomma, per chi ha ambizioni lavorative che vanno ben oltre i propri confini! Perché la carta conta..lo abbiamo detto in tutte le salse e i press officer lo sanno bene. Alzi la mano chi non ha clienti la cui prima domanda è «ma su quale rivista esco?» un tema vasto, anche questo, che ci toccherà affrontare.

Intanto sono tantissimi i giovani, soprattutto a cui sono state negate determinate carriere, che sognano di lanciare una rivista indipendente. Ne so qualcosa da vecchio editore di Secret Style magazine che ancora riceve richieste di aiuto, informazioni e nuove proposte. E allora, dopo aver parlato di vantaggi e svantaggi, rapporto tra carta e Internet e casi di studio concreti, veniamo al lato pratico per rispondere in via definitiva a tutte le domande che arrivano presso la redazione per la quale sono un contributor e che rinviano a questi interrogativi: “Come si realizza un’attività di questo genere? Da dove provengono i ricavi? Come si distingue la “buona” freepress da quella “cattiva”? Ovvero, come fa l’inserzionista a capire se l’editore mente sui numeri?». Vi lascio con un botta e risposta tra me e l’editore campano Francesco Russo con il quale oggi collaboro per l’attività di ufficio stampa.

Il cliente.

«Non investo sulle freepress perché mentono sul numero di copie». C’è Francesco un modo per smascherare i “furbetti” e restituire dignità a chi questo lavoro lo fa onestamente e con grande responsabilità?

«Grazie Daniela per la domanda, lascio ai lettori qualche nozione prima di risponderti. La tiratura di un giornale è la quantità di copie stampate per una singola edizione e con l’avvento del digitale, il numero per i free-press si è ridotto vertiginosamente negli ultimi anni, non in quanto i costi siano aumentati…anzi! Più che altro perché con l’ingresso delle nuove tecniche di stampa digitale, è permesso stampare piccolissime tirature, nell’ordine di alcune decine o centinaia di copie, il che fa comodo ai piccoli editori. Per rispondere alla tua domanda ti dico, in primis, che da parte dell’editore deve esserci un’etica di base e quindi garantire a investitori e sponsor la tiratura comunicata che va segnalata assolutamente nella gerenza del giornale.

In molti casi, la gerenza (detta anche colophon: quel box iniziale che riporta importanti informazioni quali il nome dell’editore e del direttore responsabile, la data e il luogo di pubblicazione, l’elenco dei redattori e dei collaboratori, ecc) non riporta questo dato e questo è già un primo alert per l’investitore il quale, non vedendo questo numero segnalato pubblicamente, può chiedere maggiori informazioni all’editore stesso. Non bisogna pensare, infatti, che soltanto i giornali in vendita in edicola siano soggetti a controlli. È un grave errore! Anche le free-press sono passibili di verifiche che possono essere effettuate tramite Enti o Aziende preposte (ne è un esempio la ADS – Accertamenti Diffusione Stampa o realtà come L’Ego che, in qualità di agenzie, si occupano di questi controlli). Avvalersi di questi strumenti ha comunque un costo, pertanto, mi rendo conto che, a meno che non si pensi di essere stati vittime di una truffa, difficilmente si vada ad interrogarli.

Ma diamo ancora qualche informazione. Il numero indicato di tiratura somma la messa in distribuzione (copie destinate ai punti ove viene posizionato il prodotto editoriale) e le copie indirizzate (copie consegnate direttamente al lettore attraverso un servizio di recapito pubblico o privato); inoltre in alcuni casi include anche il totale delle copie destinate agli archivi dell’editore, i giustificativi di pubblicità, le scorte e comunque tutte quelle copie che non rientrano tra le copie destinate alla messa in distribuzione. Gli obblighi di dichiarazione dei dati sono a discrezione dell’editore, che può decidere di indicarli in copertina o nella gerenza, con il criterio che sia mantenuto per tutto il periodo dell’accertamento.

Attenzione: un caso particolare è per i numeri speciali, dove obbligatoriamente in caso di tiratura diversa (anche superiore in alcuni casi) va indicata la nota: “Dati medi relativi ai soli numeri usciti a tiratura completa e a distribuzione regolare”. Questi ultimi devono essere oggetto di una certificazione separata rispetto all’ordinarietà. Quindi se siamo un mensile, nell’anno ci ritroveremo la tiratura di “x copie” per 12 numeri più eventualmente “x numero speciale”».

L’editore

I ricavi per chi vuole investire in un’impresa di questo tipo derivano tutti dalla pubblicità. Perché investire in campagne su freepress? Come riuscite a motivare il cliente?

«Le riviste cartacee costano e non possono fare a meno della pubblicità, visto che un aumento dei prezzi farebbe crollare il numero dei lettori. Il freepress diventa quindi un buon compromesso per amplificare la comunicazione su un prodotto e ottimizzare i costi dell’editore. A differenza di un giornale a pagamento, il freepress ha vantaggi dovuti alla personalizzazione della pubblicità. Inoltre grazie alla larga diffusione nei luoghi più impensati (non solo l’edicola quindi), sono particolarmente adatti a comunicare messaggi promozionali, andando a colpire un pubblico vasto ed eterogeneo.

Permettono poi, grazie a un rapporto più stretto con l’editore, di avere la certezza di comunicare con un pubblico altamente sensibile al servizio o prodotto proposto. Ricapitolo in 3 concetti, investire in pubblicità su un freepress significa:

a. usare il linguaggio di comunicazione più appropriato

b. trovare un posizionamento esatto

c. essere presenti nel momento necessario, senza obblighi di abbonamento.

L’aspirante.

Veniamo all’impresa vera e propria. Chi vuole farne un lavoro autonomo e ha questo tipo di ambizione..da dove deve cominciare? 

«La risposta è troppo vasta per essere esaurita in poche righe, ma vi posso fare un elenco di quello che assolutamente non può mancare per aprire un freepress a norma.

Di base serve un editore che finanzi il tutto, non esiste – anche legalmente parlando -, rivista senza editore. Successivamente, va trovato un direttore responsabile che sia tesserato all’Ordine dei Giornalisti con comprovata documentazione. Dopo di che, c’è la necessità di un commercialista che si occupi degli aspetti fiscali. Bisogna trovare una sede fisica dove aprire l’attività redazionale e una tipografia che garantisca qualità e continuità al prodotto editoriale.

Successivamente vanno coinvolti (nell’ordine della grandezza del free-press), un vicedirettore, i caporedattori, i redattori e i collaboratori free-lance, per garantire contenuti al giornale. Ultimo step, un legale competente che ci aiuti per la domanda di fondazione e la compilazione degli allegati, oltre che a mantenere i rapporti con la Cancelleria del Tribunale. Tutti i giornali, secondo la legge, vanno registrati presso la cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede la redazione della testata. In ultimo, se si tratta di una rivista che percepisce introiti e non di un’attività no profit, è necessaria la registrazione al Roc. Ecco, andate a controllare tutte queste situazioni prima di buttarvi in un progetto gestito da scappati di casa, c’è chi le gestisce come hobby e chi come imprese! La differenza è tanta e sta a noi effettuare delle verifiche».

Di Daniela Iavolato